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Sintesi relazione Caselli

pubblicato il 09/03/2010 10:28, ultima modifica 09/03/2010 10:28

Le imprese

Con riferimento alla provincia di Ravenna, se si considera la variazione del numero delle unità locali nel periodo 2000-2006, si evidenzia un forte incremento nei comuni di Sant’Agata sul Santerno (+29,4%), Castel Bolognese (+10,7%) e Cervia (+8,8%). Molto interessante anche l’aumento registrato nel comune capoluogo (+7,7%).
Focalizzando l’attenzione sul settore manifatturiero ed in particolar modo sulla variazione del numero delle unità locali attive in questo settore, è possibile notare come alcuni comuni abbiano registrato significativi aumenti. In particolare, Cotignola e Ravenna fanno registrare rispettivamente un aumento del 21,2% e del 15,7%, che si combinano con un numero di unità locali già elevato in precedenza. Interessante notare anche come nel settore manifatturiero, a fronte di un aumento molto contenuto del numero delle imprese, aumentino in maniera ben più consistente le unità locali, ad indicare un’espansione delle società esistenti o una forte presenza sul territorio di localizzazioni appartenenti a imprese fuori provincia.
Analogamente alle altre province, a Ravenna prevale un’industria manifatturiera concentrata su produzioni a contenuto tecnologico basso o medio basso, anche se rispetto al passato è in crescita la componente caratterizzata da tecnologia medio-alta. Nel settore dei servizi oltre sette imprese ogni dieci operano in comparti a bassa intensità di conoscenza. Riolo Terme, Brisighella e Faenza sono i comuni nei quali il manifatturiero ha una connotazione maggiormente rivolta verso l’alta tecnologia. Aggregando i dati relativi all’incidenza della manifattura di livello tecnologico medio alto e alto si evidenzia un gruppo di comuni con un’interessante incidenza di manifattura di buon livello tecnologico: Lugo, Massa Lombarda e Alfonsine. Per quanto riguarda il terziario, sono i comuni maggiori della provincia, cioè Ravenna, Faenza e Lugo quelli che presentano una maggior incidenza delle imprese operanti nel settore dei servizi avanzati rivolti al mercato.

Reddito disponibile e patrimonio

Con oltre 20mila euro a testa i cittadini emiliano-romagnoli presentano il livello medio di reddito disponibile più elevato tra le regioni italiane (solo la Valle d’Aosta presenta un valore di poco superiore). Rispetto alla media nazionale ogni abitante dell’Emilia-Romagna nel 2004 disponeva annualmente di circa quattromila euro in più, mentre il differenziale con Veneto e Lombardia è pari, rispettivamente, a tremila euro e a quattrocento euro. Il divario con le regioni meridionali è rilevante, il reddito medio dell’Emilia-Romagna è di oltre 1,7 volte superiore a quello di Campania, Calabria, Puglia, Basilicata e Sicilia. Ravenna risulta essere la quinta provincia della regione con 19.857 euro per abitante alle spalle di Bologna, Modena, Forlì-Cesena e Rimini. Particolarmente interessante il confronto rispetto a cinque anni prima: tra il 1999 e il 2004 il reddito lordo disponibile pro capite nella provincia di Ravenna è aumentato in termini reali, quindi al netto dell’inflazione, del 9,3%, uno dei valori più alti registrati in regione. Da questo punto di vista, appare netta la divisione tra Emilia e Romagna, con la prima in difficoltà e la seconda in netta crescita.

Il buon posizionamento

In definitiva, riassumendo i risultati provinciali per quanto riguarda lo sviluppo visto dal lato delle imprese, Ravenna si colloca nella fascia alta delle province italiane sia per posizionamento sia, se si considerano le province “omologhe”, per dinamica. Si tratta di un consolidamento del proprio posizionamento competitivo rispetto alle altre aree italiane e, come testimoniano le più recenti statistiche che consentono un confronto internazionale, una tenuta nei confronti dei principali competitor europei.
Per quanto visto nelle analisi precedenti, il buon posizionamento della provincia è attribuibile ai risultati ottenuti da un numero ristretto di imprese, ma trae origine da un intero sistema territoriale. L’organizzazione in filiera ha consentito di superare la dicotomia dimensionale, così come non risulta essere nodale la distinzione tra aziende innovatrici e internazionalizzate da una lato e le restanti dall’altro.
Contestualmente le filiere hanno evidenziato una differente polarizzazione, quella esistente tra le imprese inserite in circuiti di rete e quelle che ne sono escluse. Se si rileggono i dati congiunturali in questa ottica, distinguendo in base all’appartenenza ad un gruppo d’impresa, all’interno delle stesse classi dimensionali le società in gruppo ottengono risultati migliori rispetto alle altre.

Il patrimonio pro-capite

La provincia di Ravenna, in particolare, presenta un valore del patrimonio pro-capite pari a oltre 192mila euro dato questo inferiore a quello registrato dalle sole province di Bologna e Piacenza. Ravenna si colloca, di conseguenza, al terzo posto in Emilia-Romagna per dotazione di patrimonio procapite.

Valore aggiunto pro capite e reddito imponibile

A Ravenna il rapporto tra valore aggiunto pro capite e reddito imponibile è pari a 1,58, cioè ad ogni cento euro di reddito imponibile corrispondono 158 euro di valore aggiunto. I comuni nei quali più forte è la presenza dei gruppi di impresa e delle imprese di medio-grandi dimensioni sono quelli nei quali il rapporto tra valore aggiunto per abitante e imponibile per contribuente è più alto. In particolare, i valori maggiori si riscontrano nei comuni di Cervia, Ravenna ed Alfonsine. La concentrazione imprenditoriale in questi comuni ha, evidentemente, innescato fenomeni di pendolarismo dalle aree circostanti.
L’imponibile per contribuente della provincia di Ravenna ha subito una riduzione nel periodo dal 1999 al 2004 pari all’1,9%. In provincia solo tre comuni fanno registrare per il periodo in esame un aumento: Sant’Agata sul Santerno, Bagnara di Romagna e Castel Bolognese. Anche il comune capoluogo registra una diminuzione di questo valore dell’1,4. Analizzando più da vicino il rapporto tra valore aggiunto procapite e reddito imponibile per contribuente si nota che Ravenna è l’unico comune in provincia a presentare imponibile e valore aggiunto entrambi superiori alla media provinciale.
Un numero inferiore di comuni presenta, poi, un imponibile con contribuente maggiore della media ed un valore aggiunto per abitante minore della media: i comuni di Faenza, Lugo e Sant’Agata sul Santerno.
Poiché i comuni si dispongono sul grafico attorno ad una retta ideale che taglia il primo ed il terzo quadrante, è plausibile ipotizzare l’esistenza di una relazione diretta tra reddito imponibile e valore aggiunto, la qual cosa ci suggerisce che i fenomeni di pendolarismo che certamente caratterizzano anche questa provincia non hanno, però, qui raggiunto l’estensione ed il peso presenti in altre realtà regionali e nazionali.
Nella graduatoria nazionale per reddito imponibile per contribuente la provincia di Ravenna si colloca poco sopra la metà della classifica, 46esima su 103 province italiane.
Al primo posto la provincia di Milano con un reddito del 38% più alto rispetto a quello di Ravenna; all’ultimo posto Vibo Valentia con un reddito del 28% inferiore.

Le retribuzioni dei lavoratori dipendenti

Recenti statistiche hanno evidenziato come la crescita dei salari in Italia sia stata modesta, tanto da rendere le retribuzioni medie italiane tra le più basse d’Europa. A livello nazionale ciò ha determinato una perdita del potere d’acquisto che non ha colpito tutte le fasce, ma soltanto quelle più deboli; nel periodo 2002-2007 si è ridotta la capacità di acquisto delle famiglie con “capofamiglia” operaio o impiegato, al contrario di quanto avvenuto per le famiglie degli imprenditori e dei liberi professionisti.
A livello provinciale è possibile approfondire le dinamiche retributive utilizzando i dati INPS relativi ai lavoratori dipendenti con riferimento agli anni 2000-2004. Per rendere i dati confrontabili e indipendenti dal numero delle giornate lavorate si è utilizzato come indicatore la retribuzione media giornaliera. I lavoratori dipendenti della provincia di Ravenna nel corso del 2004 hanno percepito una retribuzione media giornaliera di 68,10 euro pari ad una remunerazione media annua di 16.169,80 euro. Si tratta di un importo più basso della media regionale e nazionale. La remunerazione media per lavoratore nel periodo 2000 – 2004 risulta essere stazionaria e questo a causa di una diminuzione delle giornate lavorate che ha completamente compensato il leggero aumento registrato dalla retribuzione media giornaliera in termini reali. Mediamente a Ravenna un dirigente percepisce uno stipendio dell’12,2% inferiore alla media regionale e del 18,7% rispetto alla media nazionale, un quadro ha una retribuzione media inferiore dell’8% rispetto al pari livello regionale mentre impiegati ed operai ravennati scontano un differenziale negativo pari rispettivamente al 3,1% e al 5,9%. Un dirigente ravennate percepisce una retribuzione giornaliera che è pari a 5,7 volte quella di un operaio della stessa provincia.

Uomini e donne: diverse retribuzioni

Una seconda disaggregazione che conduce a risultati rilevanti riguarda il sesso del dipendente. Nella provincia di Ravenna il 45% dell’occupazione dipendente è di sesso femminile, percentuale che scende al 34% se si considera l’incidenza sul totale delle retribuzioni. Le donne rappresentano il 38% dell’occupazione operaia, il 60% di quella impiegatizia, il 21% dei quadri e solamente il 7% dei dirigenti.
La differente composizione professionale tra maschi e femmine determina la minor remunerazione percepita in media dalle donne, 54 contro i 78 euro degli uomini (il che equivale a dire che gli uomini guadagnano il 31% in più rispetto alle donne). È un valore medio sul quale incide anche la maggior diffusione del tempo parziale fra la popolazione attiva femminile. Tuttavia, anche considerando solamente gli occupati a tempo pieno la retribuzione media di una lavoratore di sesso maschile della provincia di Ravenna è di oltre il 24% superiore rispetto a quella di un lavoratore di sesso femminile (80 contro 60,6 euro al giorno).

Le pensioni di vecchiaia

Nel 2007 a Ravenna sono state erogate oltre 83mila pensioni (conteggiando quelle di anzianità, di vecchiaia e i prepensionamenti).
Per avere un ordine di grandezza dell’incidenza dei pensionati, il 22,3% dei residenti percepisce una pensione di vecchiaia, percentuale in linea con la media regionale ma parecchio superiore a quella nazionale. Dal 2003 al 2007 il numero delle pensioni è aumentato di circa il 9,4 cento, valore più in linea con la media nazionale che con quella regionale. L’importo medio mensile delle pensioni nel 2007 è stato di 873 euro, leggermente inferiore al dato regionale e nazionale, così come più contenuto è risultato l’incremento in termini reali nel quinquennio considerato, pari all’8,2%. Dinamica questa che sembra suggerire il mantenimento del divario appena segnalato.
Se si esce dal dato aggregato e si considera la distribuzione delle pensioni per classe di importo, si assiste, ad uno spostamento progressivo nel tempo verso fasce più alte.
Nel 2003 il 59% delle pensioni era di importo inferiore ai 750 euro, il 74% inferiore ai 1.000 euro; nel 2007 le pensioni di importo inferiore ai 750 euro rappresentavano il 52% del totale, quelle di valore inferiore ai 1.000 euro il 66%. Nonostante la dinamica positiva rimane una quota importante di popolazione che percepisce una pensione di importo modesto. Le analisi condotte sino ad ora hanno portato a quantificare lo sviluppo visto dal lato delle imprese e quello visto dal lato dei cittadini. Le statistiche collocano Ravenna nel gruppo delle province al vertice della graduatoria nazionale. Al primo posto si colloca, per entrambi gli indicatori, Milano mentre le province meridionali occupano le ultime posizioni.
Ma più che il posizionamento delle province - la cui collocazione era facilmente ipotizzabile senza la necessità di ricorrere ad analisi specifiche - è opportuno cercare di dare risposta alla domanda iniziale, se alla variazione dello sviluppo economico registrata negli ultimi anni si fosse associata una variazione di direzione ed intensità analoghe del benessere dei cittadini. Sulla base dei dati utilizzati per il calcolo degli indicatori si può affermare che anche il benessere è aumentato nel periodo considerato, ma con una velocità notevolmente inferiore a quella della crescita economica. Per avere una misura - puramente indicativa per i limiti più volte ricordati connessi ad analisi multidimensionali di questo tipo nonché alla scelta del periodo di riferimento – della differente velocità si possono mettere a confronto i tassi di variazione dei due indicatori. In Italia il tasso di incremento del benessere è stato pari al 23 per cento di quello della crescita. In Emilia-Romagna tale rapporto si è attestato al 28. A Ravenna il benessere ha viaggiato ad una velocità pari al 32 per cento di quella della crescita economica.

Il grado di tollerabilità sociale

Di fronte ad un sistema che continua a produrre ricchezza, vi è una sostanziale  riallocazione dei redditi a favore di alcune classi sociali, una tendenza che ha come principale conseguenza un ampliamento della forbice retributiva ed una riduzione del grado di tollerabilità sociale della disuguaglianza. È un fenomeno che, con intensità differenti, sta interessando tutte le economie avanzate. Rispetto ad altre aree questo processo di sperequazione a Ravenna, come in Emilia-Romagna nel suo complesso, sta avvenendo con toni meno accentuati, è però una dinamica che comincia ad essere tangibile, così come ben visibile è la percezione dei cittadini di un peggioramento del loro livello di benessere.
Vi è stata la comparsa di fenomeni sperequativi, determinati sia dai cambiamenti nella base sociale - per esempio il massiccio afflusso di extracomunitari e l’invecchiamento della popolazione di cittadinanza italiana - sia dai mutamenti nei meccanismi che regolano l’economia, principalmente ascrivibili alla globalizzazione e alla trasformazione del mercato del lavoro.
Sulla base delle analisi condotte in questo studio sembra di poter affermare che il circolo virtuoso tra imprese e territorio nella provincia di Ravenna si è indebolito ma non si è interrotto e necessita di interventi per non allentarsi ulteriormente, a partire da nuovi strumenti a sostegno dei cittadini a rischio di esclusione sociale.

Le conclusioni

La differente velocità con cui viaggiano crescita economica e benessere dei cittadini sembra suggerire che, tra le linee di intervento, sia opportuno pensare a nuove forme di responsabilità delle imprese verso il territorio, in particolare quando sembra non esistere il rapporto di reciproca convenienza.
In definitiva, le analisi condotte in questo studio prefigurano uno scenario all’interno del quale il percorso per riprendere la crescita appare accidentato ma, al tempo stesso, obbligato. La strada è necessariamente quella della “via alta dello sviluppo”, dove il riuscire a guadagnare qualche punto decimale di PIL in più sarà legato ancora una volta alla capacità di internazionalizzare, di innovare, di lavorare in rete, di investire sulla formazione. Una strada che può essere percorsa con successo e generare ricadute positive sul territorio in termini di benessere solamente se, contestualmente, si realizzano altre due condizioni. La prima condizione necessaria si può riassumere in una parola: de-frammentazione. Tra le numerose anomalie che caratterizzano il Sistema Italia, la frammentazione costituisce uno dei vincoli principali allo sviluppo. Una frammentazione che su ritrova su tutti i livelli, nella rappresentanza politica, nelle istituzioni, nelle associazioni di rappresentanza delle imprese e di tutela dei lavoratori e dei cittadini, nello stesso tessuto imprenditoriale, come testimonia l’elevata percentuale di piccola e piccolissima impresa. E, ciò che appare ancora più grave, la frammentazione e la marginalizzazione stanno assumendo dimensioni allarmanti anche tra la popolazione. De-frammentare deve essere la parola d’ordine. Appare necessario trovare forme aggregative in tutti gli ambiti sociali ed economici per riuscire a dare risposta, efficacemente e tempestivamente, ai nuovi bisogni e alle nuove domande che si levano da una società in continua trasformazione.
In conclusione, sono tre i paradigmi sui quali si gioca il futuro: fare della conoscenza un differenziale competitivo, de-frammentare e (ri)creare l’identità di territorio. Quanto prima si riuscirà a dare sostanza a questi enunciati, tanto prima sarà possibile riprendere il percorso di crescita economica e benessere diffuso.

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